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LAVORO SUBORDINATO (Rapporto di) Diritti e doveri delle parti accertamenti sanitari

LAVORO SUBORDINATO (Rapporto di) Sospensione del rapporto in genere

Tribunale Asti, 10 novembre 2006, sez. lav.

                          TRIBUNALE DI ASTI
                         Giudice del Lavoro
Orinananza ex artt. 669 bis e seguenti e 700 c.p.c.
RICORRENTE  : G.  M. T. ,  nato a Theran  il (Omissis), elettivamente
domiciliato in Asti Via I. 10;
Avv. Paolo Bagnadentro
RESISTENTE :  EAME s.r.l,  in persona  del legale  rappresentane Ing.
Dante Bigi  elettivamente domiciliata in C. A. 159;
Avv. Roberto Ponchione

In caso di serio e fondato sospetto in ordine all' inidoneità fisica del lavoratore a svolgere le mansione assegnategli, senza pregiudizio per la salute del medesimo, sussiste la facoltà di datore di sospendere il dipendente dal lavoro e dallo stipendio in attesa di accertamento sanitario definitivo ex art. 5 della legge 300/70. Si realizza nel caso un periodo di comporto atipico e tuttavia legittimo stante l'incondizionato obbligo del datore di assicurare la sicurezza sul luogo di lavoro ex art. 2087.c.c..
Nondimeno, posto che il rifiuto di ricevere la prestazione del lavoratore, che la offra, contestando il provvedimento di sospensione, costituisce potenzialmente mora del creditore ex art. 1207 del c.c., qualora la protrazione di tale periodo dipenda da qualsiasi azione od omissione imputabile al datore lo stesso deve riprendere ad adempiere all'obbligo di versare la retribuzione anche ove persista nel non ricevere la prestazione del lavoratore.
La presente ordinanza decide il ricorso ex art. 700 c.p.c. di G. M. T. (nel seguito in sigla G.M.T.) depositato in data 14.8.06, col patrocinio dell'Avv. Paolo Bagnadentro. Il ricorrente chiede di essere riammesso in via urgente e cautelare al proprio posto di lavoro presso la convenuta E.A.M.E. s.r.l. dopo esser stato sospeso in data 17.10.05 dal lavoro e dallo stipendio.
Il ricorso non è il primo proposto per il suddetto fine, una prima ed una seconda domanda cautelare sono stata disattese per motivi di rito ed un terzo ricorso è stato rinunziato senza abbandono della pretesa sostanziale dietro la corresponsione di una somma di denaro da parte del datore (6000 Euro) e con la reciproca intesa di mantenere i rapporti inalterati fino alla scorso 31 luglio.
I fatti sommariamente accertati ai fini della decisione interdettale sono i seguenti :
- G.M.T. lavora dal 27.2.97 alle dipendenze della società convenuta (già CESET s.r.l.) prima presso lo stabilimento industriale di Castel'Alfero, poi presso la stabilimento della collegata, ed ora incorporata PLASET s.r.l., ed infine nuovamente a Castell'Alfero;
- il lavoratore è stato impiegato prima come Jolly, poi come addetto alla c.d. "saldatura coclea" ed infine quale addetto alla c.d. linea tangenziale relativa alla produzione di un manufatto descritto in atti come "ventola coclea";
- prima della sospensione le mansioni del lavoratore consistevano nel collocarsi a rotazione in tre postazioni lavorative dedicate rispettivamente: 1) alla saldatura coclee, 2) alla movimentazione manuale di ventole e coclee, 3) al collaudo in cabina del motore finito;
- l'effettività del quadro mansionario suddetto è stato contestato sul paino storico, ma in causa sono stati ascoltati due sommari informatori (di diversa estrazione aziendale) che hanno affermato che, nel corso della sospensione dal lavoro di G.M.T., il sistema di lavoro alternato su diverse posizioni si è definitivamente consolidato sicché, anche se fossero state imperfettamente realizzate per il passato, le mansioni di G.M.T., in prospettiva, sono esattamente quelle sopra riportate;
- in ogni caso già dal febbraio 05 al lavoratore, che si era sottoposto a controlli sanitari, era stato contestato principio di tunnel carpale ed iniziale epicondilite, sospetta lesione della cuffia dei rotori, pollice a scatto,
- in data 19.9.2005, al rientro da un periodo di malattia il ricorrente veniva visitato dal medico aziendale e giudicato parzialmente idoneo (con limitazioni) alle mansioni assegnategli;
- in particolare il medico raccomandava di adibire l'interessato al solo turno pomeridiano, lo dichiarava inidoneo al turno notturno e prescriveva di limitare i periodi di stazionamento eretto;
- in data 13.10.05 veniva nuovamente visitato dal medico aziendale a seguito dalla produzione di ulteriore documentazione e giudicato inidoneo al lavoro su 2 postazioni lavorative delle 3 alle quali doveva ritenersi addetto, secondo le sue mansioni.
- la società datrice allora, con comunicazione del 17.10.05 provvedeva a sospendere G. dal lavoro e dalla retribuzione, senza licenziarlo (in attesa di migliori accertamenti) ed anzi invitandolo a rimanere " a disposizione" nel caso si fossero verificate opportunità di lavoro compatibili col suo stato di salute.
- conformemente al disposto di cui all'art. 5 della legge 300/70 la E.A.M.E provvedeva a richiedere controllo medico al servizio di medicina del lavoro del C.T.O. di Torino e veniva effettuata una visita in data 25.10.2006;
- più volte G.M.T. giudizialmente e stragiudizialmente chiedeva la riammissione al lavoro;
- in data 10.2.2006 il ricorrente veniva informato dell'esito della visita del 25.10.2005, ma si trattava di un "esito perplesso" posto che il lavoratore veniva ritenuto inidoneo alla postazione lavorativa sopra descritta sub 1), inidoneo a quella descritta sub 2), mentre veniva sospeso il giudizio su quella indicata sub 3);
- nel contesto della transazione nanti il giudice del lavoro di Asti del 24.3.2003 si conveniva che l'accertamento definitivo dell' idoneità allo svolgimento delle mansioni assegnategli da parte del G. avrebbe dovuto essere definitivamente effettuato dal C.T.O. di Torino, salva la verifica ulteriore da parte dell'azienda della possibilità di sfruttare la capacità lavorativa residua del G.M.T. già verificata;
- In data 3/8/06 perveniva una approfondita valutazione del CTO sulla postazione lavorativa in questione senza riferimento specifico alla condizione di G.M.T. ;
Nell'attuale ricorso, discusso effettivamente ad oltre un anno dalla sospensione dal lavoro e dallo stipendio, il lavoratore lamenta che il ritardo nella risposta del C.T.O. sia dovuto anche ad un'attività di impulso da parte aziendale del tutto inadeguata per la forma troppo generica e scarsamente individualizzata delle richieste avanzate, che dal tenore della relazione del C.T.O. datata 3.8.06 sembravano relative ad una complessiva valutazione in termini di rischio lavorativo della postazione per la quale era stato sospeso il giudizio, piuttosto che ad una verifica puntuale dell'idoneità al lavoro di G.M.T.;
L'interessamento del C.T.O è stato sollecitato anche da questo giudice, tuttavia, non essendo ancora pervenuta la risposta, peraltro richiesta entro un termine successivo alla prima udienza di rinvio, parte ricorrente ha richiesto di pronunziare in ogni caso in via cautelare ed urgente, rinunziando all'esito di un mezzo istruttorio officioso, cui il giudice aveva in ogni caso fatto ricorso su sollecitazione della difesa del lavoratore.
La parte ricorrente, nel sollecitare la decisione del giudice allo stato degli atti insiste perché venga ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro di G. ovvero, in subordine, perché venga ordinato al datore di versare allo stesso la retribuzione contrattuale, dalla data della sospensione dal lavoro, o, in subordine, dalla data della scadenza del periodo di "comporto libero" transattivamente pattuita od in ulteriore subordine dalla data della attuale domanda cautelare.
Fin d'ora occorre precisare che la tutela cautelare da concedibile in sede di ricorso ex art 700 c.p.c. ha quale indefettibile presupposto l'esigenza di impedire un pregiudizio futuro, restando riservata al giudizio di merito l'esatta soddisfazione dei diritti azionati.
Nell'ottica suddetta la domanda cautelare deve essere ritenuta inammissibile (perché difettante di collegamento coi presupposti della tutela cautelare medesima) nella misura in cui non tenda all' ottenimento della retribuzione o dell'inserimento al lavoro pro futuro, ma semplicemente alla realizzazione di una ragione creditoria potenziale, ragione la cui soddisfazione all'esito del giudizio di merito non pare né inadeguata sotto il profilo del pieno conseguimento dell'interesse del creditore, né improbabile per una prospettabile incapacità del debitore al pagamento.
Sul fumus boni iuris.
La fattispecie concreta da valutare in questa sede e l'operazione di qualificazione ed inquadramento giuridico della stessa presentano aspetti di notevole anomalia nel contesto generale della pratica e della disciplina del contratto di lavoro.
Occorre pertanto una preventiva ricognizione di principio del terreno giuridico su cui poi più agevolmente svolgere la valutazione delle concrete condotte delle parti, traendone conseguenze circa l'accoglibilità della domanda.
La facoltà del datore di sospendere per motivi di "inidoneità sanitaria" un lavoratore dal servizio e dallo stipendio, pur non essendo prevista da alcuna norma propria del "diritto del lavoro" e non essendo contemplata né disciplinata dalla contrattazione collettiva applicabile al caso è ritenuta sussistente dalla giurisprudenza. Il precedente di riferimento è costituito da (Cass. Sez. lav. 12.7.95 n. 7619), mentre un interessante sviluppo maggiormente attinente al caso è dato da (Corte App. Torino 28/6/2001).
Si noti tuttavia che la giurisprudenza fornisce un quadro solo parziale per il caso. Infatti la pronunzia di legittimità riguarda un caso in cui si dibatteva sulla sussistenza o meno della responsabilità del datore per l'omesso versamento della retribuzione successivamente ad un accertamento definitivo di inidoneità da parte di organo sanitario pubblico, accertamento poi smentito in corso di causa dalla consulenza tecnica, mentre la pronunzia della Corte piemontese (che in realtà è in parziale contrasto con la prima, se non fosse per il diverso oggetto del giudizio) si occupa solo di fissare il principio della sussistenza dell'obbligo di retribuzione per il periodo tra la sospensione basata su accertamento provvisorio ed il definitivo accertamento di organo sanitario pubblico in contrasto col primo. Mentre la Cassazione esenta il datore da responsabilità per il periodo di sospensione (sulla base di una concezione sostanzialmente soggettivistica della responsabilità contrattuale) la corte d'appello ritiene tale responsabilità sulla base di una concezione obiettiva, dovendosi tuttavia considerare che mentre la Cassazione giudica di una condizione nella quale era stata la ASL a ritenere l'inidoneità, nel caso deciso dalla conte d'Appello, in definitiva la ASL aveva smentito tale inidoneità.
La ricostruzione del fondamento della "facoltà di sospensione sanitaria" rinvenibile nelle massime e nelle motivazioni giurisprudenziali non è nel complesso molto esplicitata ed approfondita ma, nondimeno, risulta intuitiva, ed è condivisa dal giudicane nella misura e nei limiti sotto detti.
Fondamentale risulta in proposito l'incondizionato obbligo del datore di assicurare la sicurezza sul luogo di lavoro art. 2087 del cc. Poiché si tratta di norma che renderebbe automaticamente responsabile il datore di un'eventuale aggravamento o compromissione della salute del lavoratore addetto a mansioni a lui non confacenti sotto il profilo fisico, risulta giustificato, anche solo dal sospetto di poter cooperare nella lesione dell'integrità fisica del lavoratore la sospensione immediata dello stesso dal lavoro. Non varrebbe una manleva del medesimo per l'inequivocabile disposto dell'art. 5 del cc.
Se risulta certo il fondamento della facoltà del datore di dar corso ad una sospensione atipica del rapporto di lavoro in pendenza dei tempi di verifica della idoneità fisica del lavoratore allo svolgimento delle sue mansioni non invece pare una conclusione così scontata ed automatica che l'onere della sospensione suddetta debba ricadere sul lavoratore mediante la sospensione della retribuzione.
Ogni ragionamento in proposito deve considerare il fatto che "per definizione" (discutendosi sospensione e non di licenziamento) si è in presenza di una situazione evolutiva in cui non c'è prova certa della inidoneità fisica del lavoratore alle mansioni. Quando si fosse in presenza della suddetta prova la tematica ordinaria evidentemente non sarebbe più quella della legittimità o meno della sospensione e del suo inquadramento, ma piuttosto quella del "licenziamento per giustificato motivo oggettivo", ed in ogni caso si ricadrebbe nell'area interessata dal citato precedente di legittimità.
Nonostante l'assenza della suddetta prova la sospensione è legittima e lo rimane in ogni caso perché, anche in presenza del solo sospetto di causare danni alla salute del lavoratore, ricevendone la prestazione, l'imprenditore è legittimato a rifiutarla. Quanto all' omessa corresponsione della retribuzione, al contrario, la stessa pare giustificata fino a che il rifiuto di ricevere la prestazione da parte del datore, che astrattamente costituisce mora del ceditore ai sensi degli articoli 1206 e 1207 del c.c., sia sorretta da "giustificato motivo" ai sensi delle norme generali medesime. Per pacifica giurisprudenza la mora del creditore (istituto certamente applicabile al rapporto di lavoro - da ultimo Cass. civ., sez. lavoro, 07/08/2004, n.15331), si verifica unicamente del carattere obiettivamente ingiustificato del rifiuto di ricevere la prestazione (significativamente Cass. civ., sez. lavoro, 20/01/2001, n.831). Una volta verificata tale imputabilità consegue la mancata liberazione dell'obbligo del datore di erogare la controprestazione retributiva nonostante l'impossibilità della prestazione del datore verificatasi giorno per giorno, ovvero, se si preferisce tale inquadramento, la responsabilità da atto lecito del datore in relazione al danno prodotto.
In caso di sospensione cautelativa del genere dedotto in causa risulta quindi pacifico che, fino a definitivo accertamento sanitario, il datore non può essere tenuto ad ammettere in servizio il lavoratore, tuttavia se il ritardo nell'accertamento dipende da fatto imputabile al datore lo stesso deve erogare la retribuzione avendo determinato per fatto proprio un ritardo nel ricevere la prestazione che è certamente nell'interesse del datore (esentandolo da responsabilità anche penali) ma che ben potrebbe rivelarsi, a verifica definitiva, lesivo per il lavoratore.
Resta da vedere se quanto versato in forza del suddetto obbligo si possa considerare dato a titolo definitivo o provvisorio, in caso di successiva verifica positiva dell'inabilità. L'applicazione analogica al contratto di durata del principio per cui "il creditore è in ogni caso liberato ove provi che la cosa sarebbe comunque perita presso il debitore" parrebbe far propendere la seconda soluzione, posto che il definitivo accertamento dell'inabilità renderebbe palese che nessuna reale utilità è mai stata posta a disposizione del datore.
Fatta questa lunga premessa, necessaria alla esplicitazione dei principi che si intendono applicare al caso occorre ora esaminare lo stesso in concreto.
La sospensione dal lavoro è stata senza meno legittima ed è tuttora incoercibile posto che la pregressa diagnosi di malattia infiammatoria agli arti superiori già esistente dal febbraio del 2005, l'esito delle visite, la documentazione prodotta al medico aziendale, ed infine la stessa diagnosi (senza meno di malattia) che il ricorrente stesso si procurò dall'Ospedale Mauriziano, ove si sottopose volontariamente a visita nel novembre 2005, sono tutti elementi convergenti nel confortare il sospetto che, quantomeno un anno fa, G.M. non potesse svolgere in condizioni di sicurezza per la sua salute i tre compiti costituenti le sue mansioni.
Le condotte successive, in forza delle quali ad oltre un anno non è dato sapere se il lavoratore è idoneo alle mansioni è causa di accesissima diatriba tra le parti posto che proprio nelle cause il ricorrente vede una manovra ai suoi danni della parte datoriale e quindi, nell'ottica assunta in premessa generale, una mora ingiustificata.
Prima di tentare tuttavia una risposta alla questione insistentemente trattata dalle parti, ossia se le lungaggini degli accertamenti presso il C.T.O. siano dovute o meno a colpa del datore occorre tuttavia ricordare che in questa sede non si sta decidendo la causa di merito in ordine al quantum debeatur al ricorrente per il periodo di anomala sospensione intercorso, ma si sta unicamente valutando il fumus boni iuris relativamente alla sua domanda intesa ad ottenere la retribuzione (la reintegra si è già esclusa) per il prosegui della sospensione. Un accertamento più approfondito e con caratteri definitivi in questa sede non è dovuto.
In un'ottica cautelare si può certo affermare che un rifiuto di un anno di nella ricezione della prestazione lavorativa di un operaio, anche se originariamente sicuramente giustificato, risulta allo stato senza meno imputabile al datore che aveva molti modi, molto più semplici della visita al C.T.O., per controllare e verificare la serietà dell'offerta continuamente riproposta da G.M. di rientrare in servizio. È vero infatti che l'art. 5 della legge 300/70 vieta la visita coattiva da parte del medico aziendale (tuttavia nulla impediva di offrire al lavoratore la possibilità di risottoporsi a tale visita su base volontaria - e l'offerta non risulta fatta). Inoltre l'inidoneità eventuale del lavoratore non dipenderebbe solo dalla sollecitazioni biomeccaniche ricevute dalla postazione di lavoro, ma anche dalla obiettiva sussistenza dello stato infiammatorio, che, dopo un così lungo riposo ben potrebbe essere totalmente regredito. La obiettiva sussistenza di stati dolorosi ed infiammatori poteva essere verificata anche con una semplice visita presso la A.S.L., ma non risulta che l'azienda abbia mai invitato G.M. a sottoporsi ad un controllo del genere. È vero che queste semplici verifiche potevano anche essere realizzate dal lavoratore, che poteva informarne l'azienda, ma non si deve dimenticare che chi ha proceduto, su base non certa, alla sospensione del rapporto di lavoro è l'impresa ed è l'impresa a dover dimostrare la non imputabilità a sé della mora e se si preferisce dell'inadempimento contrattuale. Questo difetto di prova liberatoria ridonda certamente sotto il profilo dell'attuale rinascita dell'obbligo di versare la retribuzione.
Ancora una volta si deve ricordare tuttavia che la mancanza di prova riguardo alla giustificatezza della sospensione dal lavoro per motivi di salute non consente la reintegra, posto che non si può in alcun modo limitare la prudenza del datore nella tutela della salute.
Conclusivamente pare di poter ritenere che ad oggi la sospensione del lavoratore appaia legittima solo in relazione alla sospensione prudenziale dal lavoro, ma che, stante la durata di tale sospensione, e l'assenza di una sua costante verifica, come imposto da buona fede contrattale, tale sospensione debba essere imputata al solo interesse del creditore della prestazione lavorativa e quindi non lo esenti più dall'obbligo di versare la retribuzione, obbligo che in via cautelare, sommaria e provvisoria deve ritenersi sussistente.
Essendo ritenuto sotto il profilo di cui sopra il fumus boni iuris, resta assorbita ogni considerazione in merito al fatto che il rifiuto del datore di accogliere la prestazione del ricorrente sia ingiustificato sotto il profilo dell'omessa adibizione a mansioni alternative.
Il motivo appariva del resto meno fondato, posto che l'obbligo di variare le mansioni nell'interesse del lavoratore, appare eccezionale e contrario al principio di libera organizzazione aziendale. Lo stesso obbligo pare quindi operativo nei limiti di una relativa indifferenza organizzativa dell'impresa (difficile da dimostrare in sede cautelare) ed in relazione all'alternativa del licenziamento, a fronte del quale l'accoglimento di una prestazione diversa da quella stabilità nell'esercizio legittimo dello ius variandi appare conforme a buona fede.
Sul periculum in mora
L'attività assertiva delle parti è stata notevole anche con riferimento al periculum in mora. Esso non consiste nel caso nel rischio della definitiva perdita del diritto (che in definitiva è un credito pecuniario verso soggetto che non v'è ragione per supporre insolvente) quanto piuttosto nel rischio della perdita della concreta ed effettiva utilità garantita dalla retribuzione (al percettore della stessa) non solo dall'entità del pagamento ma anche dalla sua periodicità e regolarità.
Il punto centrale consiste quindi nello stabilire se, anche qui pro futuro, sia ipotizzabile che il ricorrente, che si suppone per quanto detto in tema di fumus boni iuris, titolare del diritto alla retribuzione, possa essere irreversibilmente danneggiato da un adempimento ulteriormente procrastinato.
Dopo un anno di sospensione dal salario, in difetto di prova certa circa una forte di reddito paragonabile ed alternativa (come potrebbe essere ad esempio un'attività lavorativa autonoma svolta in costanza del periodo di sospensione), in presenza di significativo principio di prova circa il fatto che nell'ultimo anno la famiglia di G. è stata supportata massicciamente in termini finanziari dal cognato del ricorrente, deve ritenersi certamente di si. In particolare deve ritenersi elevata la probabilità di alienazioni urgenti e sfavorevoli e di contrazione di debiti eccessivamente onerosi di assunzioni di responsabilità contrattuali anche con riferimento alla fornitura di servizi essenziali.
Nel complesso quindi l'ulteriore ritardo nell'erogazione della retribuzione parrebbe poter compromettere irrimediabilmente l'utile adempimento dell'obbligazione del datore.
La domanda cautelare deve essere accolta con i limiti di cui all'intera parte motiva, la novellazione della disciplina cautelare, esclude la necessità di fissare termine per la proposizione del giudizio di merito.
Parte resistente deve essere condannata alle spese della presente fase cautelare, che possono ritenersi parzialmente compensate (nella misura di 1/3), solo in relazione al limitato accoglimento della domanda, che, nella sua originale formulazione tendeva ad ottenere in via cautelare anche la rifusione di quanto non versato in precedenza e persino durante il periodo di tempo coperto dall'accordo transattivo

P.Q.M. :
Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, visto l'art. 700 c.p.c., in parziale accoglimento del ricorso, respinta ogni diversa istanza,
DISPONE che dalla data della notifica del ricorso la società resistente, meglio indicata in epigrafe, riprenda a corrispondere la retribuzione al ricorrente, sulla base della sua qualifica e mansione al momento della sospensione del rapporto, del ccnl di riferimento e dell'orario base di lavoro.
CONDANNA parte resistente alla rifusione delle spese di lite di parte ricorrente della presente fase cautelare, che si liquidano in Euro 1200 oltre IVA e CPA, nella misura dei 2/3,.
asti 10.11.2006
IL GIUDICE
Dott. Paolo Gibelli

Codice Civile (1942) art. 1207
Codice Civile (1942) art. 2087
LS 20 maggio 1970 n. 300 art. 5 L.